Altra gara decisa da un difensore ma il centrocampo è da rivedere

Si dice spesso che nel calcio la miglior difesa è l’attacco. Ebbene, il Genoa inverte il concetto e dimostra, dati alla mano, che i migliori attaccanti sono i difensori. A Modena la sconfitta fu evitata grazie ai colpi vincenti di Dragusin e Bani e una settimana dopo la roccaforte spallina, immacolata per 78 minuti, è stata abbattuta ancora dal giovane rumeno, ormai diventato un ariete implacabile in area avversaria.

Un gol, bastava un gol per stendere i modestissimi ferraresi, che nel finale, appena hanno provato ad affacciarsi nella metà campo genoana, sono stati affondati da due contropiedi fulminati. Ha avuto ragione Alberto Gilardino: occorreva armarsi di pazienza e cogliere l’attimo. Solo che neppure lui si sarebbe atteso di faticare sino a questi livelli per piegare la resistenza dei penultimi della classe.

E’ doveroso premettere che il mister rossoblù, dopo aver perso a metà settimana Aramu per guaio muscolare, ha dovuto rinunciare all’ultimo minuto ad altri due pilastri quali il mediano Frendrup (gastroenterite) e il bomber Coda (dolore sospetto al polpaccio), ma l’undici inizialmente varato aveva subito destato perplessità a josa, rafforzate presto dalle risultanze sul campo.

Possibile che, con la nutrita batteria di seconde punte a disposizione, Gila abbia avanzato Jagiello, una mezz’ala, come partner di Puscas, unico attaccante vero? Il polacco sarebbe servito assai più sulla linea mediana per ovviare all’esasperante lentezza del trio Badelj-Strootman-Sturaro, imbevuto di esperienza e di personalità, efficace nel recupero palla ma assolutamente privo di ritmo, di brio e di incisività in fase propulsiva. Valutati singolarmente, i vecchi bucanieri ci sanno ancora fare, ma schierati assieme producono effetti perniciosi.

Per la Ars et Labor è stato un giochetto neppure sfiancante piantare le tende al limite della propria area e assistere con comodità al traccheggio indisponente di un avversario macchinoso e monocorde. Sui piedi di Strootman sono capitate diverse opportunità di calciare verso la porta, ma l’olandese, dopo essersi rifiutato almeno tre volte, ha ciabattato a lato al primo tentativo. Qualche sprazzo si è registrato sulla fascia sinistra grazie ad Haps (esordiente in casacca rossoblù), ma nulla di trascendentale, sicchè il primo tempo (tra i peggiori dell’intera annata) è trascorso senza che un solo pallone capitasse tra i guantoni del portiere ospite.

In avvio di ripresa, pur con un lieve aumento della velocità di azione, il Genoa ha ribadito i difetti precedenti, andando al tiro nello specchio una volta sola, con Puscas e procurando un brivido poco più tardi con un corner insidioso di Jagiello: una produzione troppo scarsa per accampare diritti di vincere.

Quando Puscas, l’unico teorico bomber, colpito duro in mischia, ha chiesto il cambio, pareva sceso il buio sul Grifone, prigioniero della sua sterilità. Invece Salcedo, coloured cresciuto nella periferia genovese, si calava nel ruolo per lui inedito di prima punta e Gudmundsson, reduce da un’oretta di match inferiore ai suoi abituali livelli, ritrovava d’incanto l’antica intraprendenza sino a guadagnarsi il calcio fermo decisivo.

I fuochi artificiali nel recupero – a segno l’islandese e proprio Salcedo, con l’esordio del diciottenne Lipani in regia – conferivano al punteggio una dimensione francamente esagerata. Intendiamoci, successo legittimo (il poco del Genoa vale più del nulla spallino), che consente di mantenere le distanze dal rampante Bari, ma nel turno di mercoledì prossimo, ospite di un Cagliari ancora deciso a risalire la china, servirà ben altre concretezza e brillantezza, con il forte timore che la formazione rossoblù venga stilata dal medico più che da mister Alberto, considerati anche i guai fisici occorsi a Puscas e a Sabelli, sorretto dai compagni al momento della sostituzione.

                   PIERLUIGI GAMBINO

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