In sala: “In the mood for love” di Wong Kar-wai

Ritorna in sala a 21 dalla prima uscita, il capolavoro di Wong Kar-wai in versione restaurata. Hong Kong, primi anni ’60, il giovane giornalista Chow si trasferisce con la moglie in un nuovo appartamento, proprio mentre si stanno installando nell’appartamento attiguo la segretaria Li-Chun col marito. I due stringono amicizia, fino a quando non iniziano a sospettare di essere traditi dai rispettivi coniugi. Presentata al Festival di Cannes, la pellicola rappresenta una sorta di miracolo per un grande appassionato di sceneggiature come il sottoscritto: la componente narrativa è quanto mai minimale, le azioni, i bit narrativi (ovvero gli elementi che permettono alle scene di svoltare, di comporsi ed evolvere) sono ridotti all’osso; eppure il film funziona, eccome. Questo, per chiunque abbia mai voluto cimentarsi nella narrazione, non può che apparire come un piccolo miracolo. Come si può animare una struggente storia d’amore ricorrendo più al silenzio che alle parole, più alla mancanza che alla presenza, senza una sola scena di passione, senza sbalzi emotivi stupefacenti? E questo parlando solo del prodotto finito, la lavorazione stessa è altrettanto interessante in quanto pare che l’idea originale fosse di realizzare un film a episodi, e che solo girando il primo di essi il regista abbia deciso di espanderlo a lungometraggio, scegliendo persino di lasciare grande libertà di improvvisare agli attori, cercando di catturare sensazioni e atmosfere naturali e imprevedibili. Insomma, nel cinema “a tavolino” contemporaneo, non è un azzardo incredibile? Eppure il film riesce, coglie in pieno nel segno, regala un’esperienza evocativa, struggente, delicata e visivamente portentosa: notoriamente il regista cinese ama lavorare sui corpi, sugli spazi, sui colori, e “In the mood for love” rappresenta un punto altissimo della sua ricerca estetica, ci catapulta immediatamente nelle atmosfere dell’Hong Kong degli anni ’60, tra modesti affittacamere, uffici impestati dal fumo, strade notturne innaffiate da piogge torrenziali. L’amore platonico dei due protagonisti coinvolge ed emoziona, regala allo spettatore un film anarchico che di più non si può, sussurrato all’orecchio, mai noioso grazie ad un montaggio realmente illuminato, un melò prezioso, la consapevolezza che il cinema è (fortunatamente) ancora libero e pieno di vita.

Pietro Demartini

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