MARASSI CONTINUA AD ESSERE TABU’, TROPPI ERRORI PAGATI A CARO PREZZO 

Alexsander Blessin (foto Tanopress)

Regge, imperterrito, il tabù di Marassi, dove la corazzata Genoa si arena regolarmente nelle secche di partite che si dovevano e potevano vincere disinvoltamente. Davanti allla propria gente il bilancio – un successo stiracchiato sul Modena e quattro pareggi – è da retrocessione, e meno male che lontano dalla Liguria il Grifo si trasforma in una schiacciasassi.

Anche con il Brescia, formazione decorosa, senz’altro degna dei playoff ma tutt’altro che irresistibile, i rossoblùinanellano una serie di errori che condizionano il risultato finale, Non basta neppure la miglior mezz’ora dell’anno per ipotecare i tre punti. Condotti per mano da un Aramu finalmente sontuoso, i ragazzi di Blessin costruiscono una palla gol dopo l’altra, fallendo sempre per imprecisione e foga. Due volte Frendrup e una, in apertura, Yalcin si mangiano gol fatti e se il portiere Semper, rivelatosi ben più sicuro del titolare Martinez, fermato da un dolore ad una spalla, non si fosse prodotto in una parata miracolosa, sarebbe già scaturita la beffa.

Un minutino più tardo, ecco l’assist calibrato di Aramu per Jagiello, autore di una bordata secca, imprendibile. Ancora un rischio difensivo (palla a lato di un nulla) prima dell’intervallo, ma quel vantaggio striminzito appariva esiguo se rapportato alla netta superiorità complessiva mostrata.

Anche l’avvio di ripresa era di marca genoana, pur senza clamorose occasioni: e qui iniziava a lievitare il rimpianto per non aver chiuso il match nella prima ora di gioco, come era ampiamente nelle possibilità. Un difetto che il Genoa si porta appresso dall’inizio del campionato: produrre una rete all’attivo equivale ad un parto trigemellare, figuriamoci due.

Aramu spariva progressivamente dal campo e il Grifo rallentava il ritmo, ma la gara era assolutamente sotto controllo: il pallone stazionava quasi sempre nella metà campo bresciana, lontana settanta metri dalla porta di Semper, e non si scorgeva all’orizzonte alcuna insidia per Bani e Dragusin, sempre tranquilli e protetti. Il Brescia appariva piuttosto modesto e, affidandosi prevalentemente a lanci lunghi e spesso sconclusionati, contribuiva ad immiserire lo spettacolo, ma al Genoa andava benissimo così.

Poi, improvviso, il fattaccio, provocato da Badelj, tornato fra i titolari al posto di Strootman, rientrato di corsa in Olanda per la scomparsa del padre. Già ammonito, il croato si macchiava di un’altra entrata a dir poco scomposta, guadagnandosi la precoce cacciata dal campo. Provvedimento non scandaloso, anche se il modestissimo arbitro Colombo, in precedenza, aveva sorvolato su una sfilza di scorrettezze ospiti senza estrarre il cartellino giallo.

Correva il 78′, e minuti restanti di match parevano un’eternità. Qui saliva sul proscenio – in senso negativo – mister Blessin, che già aveva operato la scelta discutibile di avvicendare Hefti con Czyborra per riportare a destra Sabelli. In un momento così delicato, dopo che aveva già inserito Puscas e Touré, ecco che ha giustamente avvicendato lo spento Aramu, ma non con un altro mediano o ancor meglio con Vogliacco, ma con Gudmundsson, che non si era allenato tutta la settimana e non possiede certo il fisico adatto a fronteggiare i giganti. Assediata dai bresciani, disordinati e velleitari ma impetuosi, la squadra rossoblù ha iniziato a barcollare. Un fuorigioco provvidenziale salvava il pari verso l’inizio del recupero, ma il pareggio, nell’aria da tempo, è giunto ugualmente al 93′, in mischia, quando il Genoa si stava difendendo con la bellezza di tre punte, una delle quali lo stremato Coda.

Il festival degli sbagli fatali si concludeva al 95′ con Puskas che, a porta sguarnita, nell’ultimo disperato tentativo di un Grifone commovente, toccava mollemente la sfera consentendo ai lombardi di salvare quel punticino piovuto dal cielo.

Evidentemente, è destino che i tifosi rossoblù escano dal Ferraris rabbuiati in volto, ma nascondersi dietro la consueta considerazione (“Il Genoa avrebbe meritato di vincere”) inizia ad essere stucchevole e accresce ulteriormente il rammarico. Pur in una partita giocata meglio di parecchie altre, troppe cose non hanno funzionato.

                          PIERLUIGI GAMBINO

                                 

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