MENTRE SI PROGRAMMA IL FUTURO, QUESTA BATOSTA NON CI VOLEVA

Ha persino segnato Pinamonti, abbonato fisso alla panchina, nella beneficiata interista alla quale la Samp ha passivamente assistito, come uno sparring partner attentissimo a non arrecare alcuna ferita al campione. Solitamente certi confronti post scudetto si concludono salomonicamente o, al massimo, col successo di misura dei più forti: non stavolta. Le Beneamata, in vantaggio al primissimo sussulto, ha trovato presto la strada del raddoppio e, quasi fosse ferita nell’orgoglio dal golletto doriano verso l’intervallo, ha impiegato un minutino o giù di lì per ristabilire le distanze. Nella ripresa, altro che metamorfosi: è continuata la condotta velleitaria dei blucerchiati, impallinati in altre due circostanze da un’Inter che nel corso della gara ha alternato in campo più riserve che titolari, in una sorta di festosa passerella.

Sì che i ricambi di Conte sarebbero protagonisti in gran parte delle altre compagini, sì che il gioco impostato dal leccese è stato ormai assimilato e applicato anche dall’ultimo elemento in rosa, ma la scombiccherata banda di Ranieri contribuito parecchio a trasformare una sfida di campionato in un comodissimo “allenamento” ufficiale per i neo-scudettati.

Pure Sir Claudio ci ha messo del suo per complicarsi la vita. Non c’era esigenza tattica che potesse giustiicare l’impiego dell’arrugginito Ramirez, da mesi fuori dai radar, come un marito che, a divorzio consumato, attenda solo di trovarsi un’abitazione alternativa. Ma se l’uruguagio l’ha fatta da comparsa, non è che Keita – a parte la comoda conclusione a porta sguarnita che ha riaperto per un attimo il match – abbia proposto mirabilia: neppure lui, insomma, è riuscito a rivalutarsi agli occhi del mister e della dirigenza, sempre meno decisa ad acquistarlo definitivamente.

Quagliarella (inserito solo nel quarto d’ora finale) e Gabbiadini, i due titolari del reparto offensivo, sono rimasti a guardare, forse nell’ottica delle tre partite in una settimana. Improbabile che avrebbero fatto peggio di chi li ha sostituiti, ma non è questo il punto. La verità è che gli altri giocatori scesi in campo a San Siro sono titolari ed hanno tutti fallito miseramente, collaborando ad offrire una prestazione inaccettabile, flaccida e anodina, con zero intesa tra i reparti e scarsissima voglia di lottare. Una Samp vacanziera, insomma, capace di fari travolgere da un’Inter priva, per comprensibile scelta tecnica, del suo elemento più rappresentativo, Lukaku.

Chi salvare dal naufragio? Forse Audero che, pur senza miracol mostrare, non è colpevole della manita incassata: in parte Colley, l’ultimo ad arrendersi in retrovia; eppoi l’ex Candreva, che se non altro ha espresso puntiglio ed un briciolo di dignità. 

Le espressioni del viso di Ranieri durante e alla fine di una sfida così impari segnalano una rabbia mascherata a fatica. In un momento così delicato a livello contrattuale – con la sua riconferma tuttora in bilico – il trainer tutto si sarebbe atteso meno che una squadra così molle e in balìa degli eventi. Anche considerando che le seconde linee contiane valgono più delle ultime avversarie affrontate e battute dai blucerchiati, è impossibile giustiicare una recita così incolore. 

Per carità, la fatidica quota 52 fissata dall’allenatore come obiettivo stagionale resta dietro l’angolo, dato il relativo spessore degli ultimi tre antagonisti, ma la batosta subita al Meazza, la più pesante dell’intera annata, rimarrà come una macchia incancellabile, sperando che non convinca il focoso Viperetta a qualche mossa futuristica di cui tra una manciata di mesi potrebbe pentirsi.

                                                  PIERLUIGI GAMBINO

                                      

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