Onore salvo nel congedo casalingo, da Goran a Eldor messaggi futuristici

Pandev

E tutti vissero felici  contenti. Come nelle favole il roboante 3-4 con la quale si è archiviata la sfida tra Atalanta e Genoa è risultato accettabile su entrambi i fronti. Il Grifo sperimentale e improbabile schierato inizialmente da Ballardini temeva infatti a metà gara di subire una storica imbarcata e la Dea, quasi acchiappata dagli arrembanti rossoblù, ha pur sempre ottenuto l’aritmetica qualificazione alla Champions avvicinandosi alla seconda piazza.

In ottica genoana, già aver procurato a Gasp notevoli turbolenze intestinali negli ultimi concitatissimi minuti è motivo di orgoglio. Sconfitta è stata, come volevano i pronostici, dettati anche dalle ben differenti motivazioni delle due squadre, ma più dolce non si poteva auspicare. D’altronde, pretendere di più dall’undici rossoblù impiegato inizialmente, con appena quattro titolari, era utopia bell’e buona, anche se la cronaca del primo tempo si è arricchita pure di due opportunità e mezzo costruite e poi sciupate: sullo 0-0 con Melegoni che, solo davanti al portiere nerazzurro, gli ha sparato maldestramente addosso la sfera; subito dopo con Masiello, che ha ciabattato da dentro l’area, in piena libertà; infine con Destro, che ha indirizzato un comodo cross proprio tra le braccia di un Gollini già rassegnato al peggio.

Sul fronte opposto si è assistito ad uno scoppiettio di palle gol, tre delle quali trasformate. E in tutte le circostanze ci ha messo del suo Radoanovic, la cui professionalità lo ha reso meritevole della fascia di capitano, ma non è bastata a celarne la lentezza e il limitato piazzamento ribadite già da qualche settimana, appena la sua condizione atletica è andata scemando. Al suo fianco, non è che i rincalzi scollati per una volta da panca e tribuna si siano superati: da salvare nel mar di mediocrità Melegoni, senz’altro il più interessante anche in prospettiva.

Dopo il riposo l’Atalanta ha commesso l’errore di sintonizzarsi mentalmente in anticipo sulla finalissima di Coppa Italia, in programma mercoledì contro la Juve, e ha mollato i pappafichi, rinunciando in più a qualche da pezzo da novanta come il mattatore Zapata. In compenso Zio Balla ha rivoluzionato il tridente d’attacco, immettendo calciatori ben più produttivi. La riserva fissa Caso, un nanerottolo scattante e pungente, ha versato un po’ di pepe nelle azioni genoane, ma ben più concreti di lui sono stati Pandev e Shomurodov. Il primo ha realizzato dal dischetto il secondo gol genoano e servito all’uzbeko l’assist per il clamoroso 4-3, mentre il secondo, oltre alla suddetta prodezza, ha aperto le marcature dei locali rubando palla ad un avversario e piazzandola a filo d’erba sul palo interno e da qui in rete.

L’apporto dei due non è servito ad evitare il ko, infiocchettato da Pasalic sul 3-1 (rivedibile la posizione del vecio Marchetti, già titubante in occasione del raddoppio orobico), ma se non altro si può interpretare come un doppio messaggio: Eldor ha riconfermato le sue potenzialità come contropiedista, insinuando qualche rimpianto per il suo mancato utilizzo in determinate partite, e Goran ha fatto capire di non essere ancora giunto all’ammazzacaffé e di sicuro, nei prossimi giorni, riceverà accorati inviti da tutto il clan rossoblù a procrastinare di un anno il suo ritiro dal calcio.

Altro non lascia nel cuore e nella memoria questo congedo casalingo, accompagnato dalle urla di incoraggiamento dei tifosi più caldi e appassionati, riuniti appena fuori dal Ferraris per ringraziare i giocatori che hanno regalato loro un’altra salvezza. Già prima del viaggio conclusivo a Cagliari, sarà d’uopo che il Prez e Zio Balla, a quattr’occhi o per interposta persona, si chiariscano vicendevolmente. La piazza rossoblù non può accontetarsi di aver sofferto lievemente meno del solito e invoca qualche concreto investimento, sufficiente per finanziare una rivoluzione nell’organico da considerarsi improrogabile.

                                      PIERLUIGI GAMBINO

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