PERSA  A PALERMO UNA GARA DA VINCERE

Alexsander Blessin (foto Tanopress)

A Palermo l’Ascoli ha vinto e un settimana più tardi la Reggina ha rifilato tre schiaffoni ai rosanero. Il Genoa invece esce con le ossa rotte dal Renzo Barbera, e la convinzione unanime che si sia trattato di una resa immeritata non può consolare una tifoseria già indispettita dal mancato successo contro il Parma. D’altronde, quando si raccoglie spesso meno di quanto seminato (era già successo al cospetto del Benevento e dei crociati), ci si deve porre un interrogativo: si tratta di una jellacosmica o c’è qualcosa che non funziona?

Una frettolosa disamina ci porterebbe a sottolineare che Ekuban, al primissimo minuto, ha avuto tra i piedi un pallone più ghiotto di quello capitato in avvio di ripresa a Brunori. Il centravanti siculo ha segnato, il ghanese ha sparacchiato maldestramente fuori, e non ha neppure centrato la porta a metà ripresa, sull’uscita disperata del portiere locale. E allora è giusto pure chiedersi: se Ekuban, che sta vivendo di rendita sul gol decisivo di Pisa a fronte di decine di opportunità fallite, è una inamovibile, dove può andare il Genoa?

Sarebbe ingeneroso però scaricare tutte le colpe sul coloured. La verità è che il Grifone ha dominato letteralmente la prima mezz’ora, senza però che il numero uno siculo si sporcasse i guanti. Non basta tener palla, recuperarla a tempo di record se in avanscoperta si spara coi fucili a tappi. E se la manovra sgorga lenta, macchinosa e senza sbocchi, con due mezze punte come Portanova e Jagello che sono centrocampisti puri ma non certo uomini capaci di inventare una giocata efficace o creare qualche superiorità numerica, trovare il vantaggio è un’impresa titanica. Vero che mancava Gudmundsson, l’elemento maggiormente dotato di fantasia e di tecnica, ma sarebbe triste pensare che una sola assenza, seppur di peso, mandi a pallino prestazione e risultato.

Dal 30′ in poi il Palermo, compreso che il diavolo rossoblù era meno brutto del previsto, è uscito da uscio ed ha creato più di un pericolo per la porta di Martinez. Il preludio al gol, giunto in apertura di ripresa sull’ennesimo contrattacco he ha colto Hefti troppo avanzato e i due centrali tutto meno che rapidi nella chiusura.

Il prosieguo, caratterizzato da una girandola di cambi nelle file genoane, con tutta l’artiglieria pesante in campo alla ricerca del pari, è stato contrassegnato anche dalla jella, considerato il pallone recuperato sulla linea dall’estremo difensore Pigliacelli, la sunnominata chance sprecata da Ekuban, un colpo di testa ulteriore del ghanese bloccato a fatica, i tentativi di Coda e Puscas rimpallati in extremis e, nel recupero, il diagonale vincente ancora di Coda vanificato dall’offside di Bani. Tutte opportunità frutto della superiorità fisica e del talento dei calciatori rossoblù (ritemprati dagli innesti sempre tardivi, comunque, di Aramu, Strootman e dello stesso Puscas), ma non certo del gioco, che si è mantenuto disordinato e figlio dell’improvvisazione.

E qui si innesta un altro discorso, il più spinoso. Che l’organico del Grifo sia di gran lunga il più fornito della cadetteria – pur con la mancanza di un terzino sinistro all’altezza e di un centrale difensivo mancino – è inconfutabile, e allora il difetto principale risiede nel manico. Passano le settimane ma la trama è sempre farraginosa, la manovra prevedibile e priva di brillantezza e fantasia e, in compenso, a livello difensivo si corrono troppi rischi di capitolazione. Se il Genoa è una corazzata – secondo il giudizio unanime degli addetti ai lavori – allora è inadeguato il nocchiero. O, se preferite la metafora culinaria, quando gli ingredienti sono di prima qualità e il piatto è sciapo, non sarà colpa del cuoco?

                   

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